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A chi scrive.
Agli inquieti.
E a chi non ha la presunzione di comprendere,
ma solo sete dell'altro.
Oggi più nulla è al sicuro. Le mani in ammollo nel lavandino
ritraggono e immergono ripetutamente una morbida camicia
nera dalla generosa apertura sulla schiena. L’acqua si tinge di
scuro, nubi che si ammassano sulla linea dell’orizzonte e i pensieri inquieti si tuffano tra queste oscillazioni, si inabissano
verso il fondo, si depositano sulle pareti di ceramica e improvvisamente riemergono, avvinghiandosi come tentacoli, con
prepotenza ai polsi. Potrei togliere il tappo e lasciarli scivolare
giù per la condotta, potrei farlo ma è un atto di forza e io sono
debole. Esposta e inerme.
Finché scrivo – le dita sulla tastiera e lo sguardo fisso sullo schermo – medito con pudore, intimorita dalle mie stesse parole. Mi ostino con la mente ad andare oltre quella riga. Avrei dovuto limitarmi a contemplare con distacco e finto disinteresse, ma poi è stato solo un brusio corale di emozioni.
(...)
La punteggiatura quando ci si svela sembra non esistere, eppure quegli spazi vuoti, spifferi che dilatano il discorso, che lo
rendono più ossigenato, sono in realtà pertugi da cui si possono intravedere i moti dell’anima. Spesso si emettono suoni
apparentemente carichi di significato, dal senso finito. Quello
che si cela dietro però, che non si espone per diffidenza, è l’essenza preziosa, impalpabile e accecante, che se solo fuoriesce
per una distrazione o debolezza, potrebbe stordire da quanto
intensa e corroborante. (p. 27)
(...)
A testa in giù. Ogni tanto lo faccio ancora di guardare tutto
sottosopra, soprattutto in presenza della noia. Cerco nuove
prospettive. E se quelle che ho a portata di mano non mi soddisfano, o capovolgo il mondo o metto a soqquadro la stanza,
proiezione in scala del mondo stesso.
A testa in giù, gli spazi vuoti si riempiono, i pieni si svuotano. Come in una clessidra, così dentro qualcosa scorre e si
riassesta. Le parole non dette si mescolano e danno luogo a
nuove fantasie, a provocazioni, affamata come sono di pensieri
non espressi. Sta tutto lì, alla rinfusa, ma riconoscibile, così
famigliare e confortevole. Il calore del mio disordine è una certezza per me e per chi lo interpreta, a suo modo, a mio modo,
con enfasi, senza cautela.
(p. 53)
(...)
Amo le parole composte da tre sillabe, la loro sonorità.
La cadenza.
Così come amo il punto.
E se due punti si accostano, segue una storia da raccontare.
Senza voce, per osmosi. A mani nude.
Le parole non dette sono lance: dritte, crude e ingombranti.
Contro quel mare di silenzio, la casa sull’albero e la coltre di
caligine addosso.
(p. 89)
Galeotta fu una frase pronunciata a tavola, nel pieno di una conversazione di lavoro: “Scrivere è un’arte nobile”. Da lì è insorta l’urgenza di dare forma a quello che oggi mi piace definire un elogio alla scrittura, nella sua forma più pura, verace e intima.
Se dovessi sintetizzare in poche righe il messaggio del libro?
Non è
depositata in esso una vera e propria morale… Parafrasando la mia editrice che
un giorno mi scrisse “Non si toccano i cuori scoperti”, potrei controbattere
integrando la sua asserzione “…a meno che tu non sia armato di una matita
affilata e un animo vivo”. Una spennellata di dolce stil novo in chiave moderna
innesca un movimento che fa fulgore da tutte le parti.
Chi è il lettore ideale del tuo libro?
Il lettore ideale è un inquieto di natura, ama la poesia liquida, è
introspettivo e intrigato da dettagli che spesso comunemente non destano
interesse. Osserva con occhi curiosi e analitici, reinterpreta il reale
contaminandolo con il proprio universo sensibile.
Un pezzo amato nel profondo dall’autrice Lidia Furlan e che ha letteralmente fatto da sottofondo alla stesura del suo Lo spazio obliquo.
A chiusura del libro, Lidia scrive un ringraziamento "alle musiche di Ezio Bosso, ignaro del suo intenso ruolo".
Più tardi, ha avuto modo di renderlo partecipe e consapevole, di quel ruolo, consegnandogli il volume.
La scrittura è l'ignoto.
"C'è una follia di scrivere che è in se stessi, una follia di scrivere furiosa, ma non è per questo che si è nella follia. Al contrario. La scrittura è l'ignoto. Prima di scrivere non si sa niente di quello che si sta per scrivere. E in tutta lucidità. È l'ignoto da sè, dalla propria testa, dal proprio corpo. Non è nemmeno una riflessione scrivere, è una sorta di facoltà che si ha a fianco della propria persona che appare e avanza invisibile, dotata di pensiero. Se si sapesse di ciò che si sta per scrivere non si scriverebbe mai. Non ne varrebbe la pena." (Marguerite Duras)
Scrivere è una missione.
Chi scrive non può mentire.
Scrivere è un atto puro e sincero, nonché estremo. Chi scrive non può essere superbo.
La spocchia vanifica l'atto dell'eviscerare, del far emergere in superficie... imprescindibile.
Chi si limita a comunicare le impurità che stazionano sulla superficie, non sta scrivendo.
Sta solo giocattolando con detriti privi di valore.
Una riflessione a partire dall'articolo di Ida Curti che potete trovare qui accanto:
Quando scrivere è sporgersi.
Una riflessione a partire dall'articolo di
Auður Ava Ólafsdóttir
che potete trovare qui accanto:
"Quella specie di ritorno alla mimesi che alcuni hanno scorto in Malerba all’incirca dalla fine degli anni Settanta è soltanto apparente ed è sommamente ingannevole: se, come sostiene l’autore, la realtà è «obliqua», lo stesso si dovrà dire della sua mimesi, che sarà altrettanto distorta, «per traverso».
«Finita la descrizione delle cose materiali, si dovrebbe passare alla descrizione degli spazi vuoti che stanno fra una cosa e l’altra, cioè il negativo delle cose». Ecco, forse con la sua scrittura Malerba ha cercato di fare proprio questo, esplorare lo spazio vuoto che sta tra le cose e le parole."
Una riflessione a partire dall'articolo di
Massimiliano Manganelli che potete trovare qui sotto:
di Renata Gambino