Lidia Furlan

Inizia a scrivere in tenerissima età, il suo primo foglio è la battigia del lungomare, il suo primo lapis un bastone con cui prova a scrivere la parola amore in stampatello, rielaborandone il suono.
Poi c'è stata la poesia, foglio a buchi formato A5, a quadretti, colore rosa.
La scrittura per lei è religione, forgiare in forma scritta i colori e le note dell'animo, renderli vividi, calibrando meticolosamente il ritmo del testo, giocando con la punteggiatura.
Le piace star nascosta dietro la tenda, aspettare che il lettore la trovi, e non viceversa.


Pensavo che fosse ormai tutto già scritto e prestabilito.
Camminavo a passo sostenuto 
senza indugio, la fretta in tasca, giorno dopo giorno, lo sguardo fermo e la strada dritta e sconfinata di fronte a me, l’orizzonte piatto. Poi non ricordo di preciso come e quando tutto iniziò a roteare vorticosamente attorno a me, di sopravvento, facendomi perdere il senso dell’orientamento e la percezione della logica universale. Forse fu una parola, forse un punto di troppo o un eccesso di colore a innescare il meccanismo. Fu un errore di valutazione, mi ritrovai esposta e interdetta. Rimasi stordita a lungo, in un compiuto silenzio, in attesa che questo stato di inquietudine svanisse, ma più cercavo di redimerlo e più vivacemente si manifestava, intenso e indomabile.
Decisi quindi di 
assecondarlo, di lasciarlo fare sperando che sfumasse sulle lunghe distanze.
I soli 
calavano, le lune si levavano e nonostante fossi contrariata da questo disordine, dal non sentirmi più al mio posto in nessun luogo, iniziai ad ammirare questo mondo capovolto, a comprenderne la poetica, a riappropriarmi di antichi spazi scritti di parole non dette, incastrate tra punti sospesi e pensieri alla deriva.
Fu così che compresi che ormai anche per me la via era smarrita, che avrei dovuto imparare a saltare a piedi nudi su segni obliqui, costantemente in bilico, in balia dei contrasti, nell’imperversare dei flutti emotivi, per alleviare quella nuova sete di evasione, di complici veri impulsi.
"
 

Se lo spazio si fa obliquo

L'esigenza di tradurre in parola scritta, spazi e virgole le proprie esperienze ed emozioni.
Una pratica che vale sempre la pena di fare propria, in qualunque forma e con qualunque ritmo. 
 
 

Di film, libri e musica...

Pane e tulipani, di S. Soldini

Mediterraneo, di G. Salvatores

La grande bellezza, di P. Sorrentino

Le affinità elettive

di J. W. Goethe

Il profumo

di P. Süskind
 
 

Lag Fyrir Ömmu, Ólafur Arnalds

Sei, Negramaro

My favourite things versione carillon

Black Gold, Editors

Lo spazio obliquo

Scrivere come gesto incondizionato, strumento di definizione del proprio scenario, con tutte le sue accezioni e sfumature, lettura obliqua di spazi e frammenti di tempo, attraverso la virtù della punteggiatura, lo studio architettonico del pensiero e lo svelarsi delle poetiche interiori.

Questo è per l’autrice il valore della scrittura. Perso, tuttavia, nel gorgo denso del quotidiano,  tra il detto privo di valore e il non detto che scalcia per uscire e brillare.

…come trovare, nuovamente, l’impulso per esporsi ed esprimersi? Dove scorgere la giusta angolatura? Quando sentirsi a casa, finalmente, tra punti e parole?