Simona Fiori

Decide di fare la scrittrice che ha forse 8 anni - e per fortuna! aggiungiamo noi - . Già allora, diceva una sua maestra, aveva una straordinaria maturità narrativa.
Il primo scritto è una poesia dedicata al padre, intorno ai 16 anni, che inizia così: 
Mio padre è dal 3000 a.C.
che sta su questa terra...

Ma per lei non esiste né l'essere scrittore, né l'essere scrittrice, piuttosto un flusso di spettri che si dipana da una faccenda complicata, senza genere, senza tempo, senza spazio e senza forma, immune al giudizio, libero.


Non credo d’essere una scrittrice, forse. Nel senso più tecnico del termine. Non so come si scrive un libro, non conosco i passaggi obbligati, le scalette, i tempi esatti per un colpo di scena, quando scrivo è difficile che io sappia prima cosa succederà due pagine dopo. Figuriamoci se so il finale! Credo sia un grosso difetto.

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"Paciv Tuke",
il Booktrailer

Il romanzo di Simona Fiori "Paciv Tuke. Sporchi cannibali e ladri di bambini" è dedicato al Porrajmos, il “divoramento” in lingua romanì, lo sterminio di Rom e Sinti durante la Seconda guerra mondiale.
Uno sterminio per cui nessuno ha mai pagato.

"Le  boie panatere"

Il nuovo romanzo di Simona Fiori

 

Di film, libri e musica...


Lezioni di piano, di J. Campion

 

Gatto nero gatto bianco, di E. Kusturica

La sottile linea rossa, di T. Malik

Dizionario della lingua italiana

Don Chisciotte della Mancia

di M. Cervantes

 

Boxe a Milano, Pacifico

Always with me,
da La città incantata

Hoppipolla, Sigur Rós

Sally, Fabrizio De Andrè

Con una scrittura forte e immaginifica, Simona Fiori racconta di un gruppo di diversi, uomini liberi in un tempo di ordine e morte.
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 (Helena Janeczek)

Paciv Tuke. Sporchi, cannibali e labri di bambini

La storia di Tania, Gwenna e Ferdinand si dipana con la surrealtà di una fiaba, tra zuppe speziate e tripudi di stoffe dai mille colori. A bordo di una carrozza gitana, sulle note vibranti di un violino, le piccole vite dei tre protagonisti si annodano in una sorta di stramba famiglia, per riuscire a tirare avanti in un’esistenza che, per quelli come loro, comincia a farsi sempre più stretta.
Il mondo verrà infatti presto sconvolto, schiacciato dal macigno della Seconda Guerra Mondiale.

Le boie panatere

La piccola Chiletta abbandona la sua infanzia al canto di una civetta.
Sul carro dei buoi col vestito buono, lascia dietro di sé l’incanto del pane che lievita nel forno comune, abbandona le foglie di vite per ventaglio, e sbiadisce. Diventa grigia come l’edificio del Cottolengo, “enorme stomaco di pietra ulcerosa”, che la inghiotte in una spettrale Torino di fine anni ’30.
Lì la Chiletta sarebbe ineluttabilmente sola, se non fosse per Angela, l’amica dalla voce di ragnatela che, giorno dopo giorno, le salva la vita.
E poi, c’è un sottile filo di luce, aggrappato alla sua pelle come aura flebile, il sentimento profondo per il Nassin, “quattordici anni appena compiuti”. Due ragazzini cui una vecchiezza bugiarda e ostile piega le spalle, ma che non può vincere neppure facendosi morte. Perché perfino da lì a volte, si riesce a tornare.