Umberto Li Gioi

Kalemegdan, discesa nel labirinto balcanico


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Introduzione

Come trovare l’uscita del labirinto? Come farlo, pur sapendo che la soluzione di tutto sta invece al centro dello stesso?
Lungo le aggrovigliate strade di un mondo in cui la Storia non vuole rimarginare le cicatrici che lascia, profonde come il corso dei tanti fiumi che ne segnano le vallate, non resta che osservare, dall’alto, il percorso di chi ha deciso di tornare.
Un ritorno che equivale a una catarsi.

Il tempo non ha senso, nei Balcani.
Perché non riesce ad affondarvi le proprie radici. Dando addirittura l’impressione di inseguire se stesso, in un circuito senza vie di fuga.
Così quell’antica regione d’Europa, crocevia di secolari migrazioni, terra di passaggio e di effimere certezze, vive solo di attimi illusori. Per ripiombare subito nel limbo perenne dell’attesa.
Che significato può assumere quell’agosto del 2007, breve volgere di giorni in cui un viaggio ha il compito e il valore di una redenzione, nella storia di un mondo tanto contraddittorio?
Tuttavia, il segno che lascerà nella vita di un uomo sarà dilaniante. Tanto da cambiarla per sempre. Proprio come cambiato è il Paese che lo stesso ha abbandonato tanti anni prima e che a poco a poco ritrova.
In quell’agosto del 2007 che fa da sfondo ai fatti narrati, una terra smembrata un tempo chiamata Jugoslavia, vive gli ultimi laceranti tormenti. In vista dell’ennesima crepa che finirà per separare il Kosovo dalla Serbia. Mentre fatali rigurgiti, legati all’ennesima, dolorosa frattura, agitano le minoranze etniche albanesi all’interno della piccola Macedonia.


La notte continua il suo corso, Robert.
Sorvola la città. Scorre come i suoi fiumi. Dall’alto della collina del Kalemegdan. Noi la seguiamo. Reggiamo il suo mantello che ci trascina con sé.
Aggrappati alle sue pieghe voliamo via.
Belgrado è bellissima vista da lassù. Intrigante.
Da queste mura ne scorgiamo gli angoli, per immaginarci il resto.
Seguiamo le luci che ci portano fin dove la Sava s’infrange, aprendosi in due, sulle sponde appuntite dell’Ada Ciganlija. Per poi scivolare, con le ali della mente, sopra i parchi di Dedinje. Sopra i riflettori del Marakana. Accesi come se si giocasse fino a tarda notte. Mentre tra Vračar e Palilula, la vecchia landa dei fumatori di pipa, le sagome immote dei templi ortodossi si stagliano circondate dalle ombre asimmetriche delle siepi e degli alberi di Tasmajdan. Fin laggiù, dove il quartiere della Zvezdara distende il suo sterminato accampamento di case.
Mentre stiamo qui, a raccontarci storie, tutta la città è in silenzio. Aspetta con ansia il finale.
Robert, immagina Belgrado, che anziché dormire sta lì silenziosa. Ad ascoltare. A carpire quelle parole che sussurriamo senza dar fastidio agli alberi.
Immagina uomini e donne che, dopo aver fatto l’amore nel proprio letto, stanno lì. In attesa di sapere se tu riuscirai a trovare Jovica.
L’indomani, quando tutta questa polvere d’oro sarà volata via, la verranno a cercare qui. Impigliata tra i rami degli alberi. Come se loro stessi avessero fatto parte della storia.
Fino a sentirsi protagonisti. O ospiti d’onore.  
        (p. 140--141)
 

Il lavoro dello scrittore

  • Da dove nasce l'ispirazione di questo libro?  

    Durante i miei viaggi nei Balcani, sviluppatisi in otto anni consecutivi, i luoghi, le persone incontrate, le esperienze maturate in circostanze spesso avventurose, mi hanno convinto via via che era giusto non far morire le tracce di quel mio “passaggio” in quelle zone controverse e spesso martoriate da avvenimenti anche abbastanza recenti. 


  • Cosa ti ha convinto che l’idea era buona e funzionava?
    I meccanismi intrecciatisi durante quei viaggi mi sono apparsi subito degni di dar loro una consecutività ancor più dettagliata. 

  • Se dovessi sintetizzare in poche righe il messaggio del tuo libro quale sarebbe?

    Per conoscere la verità non fidatevi dei media e delle esperienze altrui (queste ultime molto importanti, ma sicuramente mai pienamente appaganti, necessarie per stimolare la curiosità personale), ma andate a vedere con i vostri occhi.


  • Chi è il lettore ideale del tuo libro?
    Il viaggiatore per antonomasia, quello che ha voglia di conoscere popoli e genti, quello affamato di verità storiche .
 

Che suono ha questo romanzo?

Quando Umberto cercava ispirazione per il romanzo, ha avuto bisogno di qualcosa che desse ritmo alla storia. Di Tunnel of love l'aveva sempre affascinato quel finale in cui la chitarra di Mark Knopfel sembrava quasi "spegnersi" per poi ripartire in un travolgente assolo. 
Ecco, la storia per Umberto doveva andare così: doveva sembrar risolta, ma alla fine niente era come appariva. E si veniva travolti dal finale.