Lina Maria Ugolini

Inizia a scrivere poesie a sei anni, "nascosta":  dietro le tende, arrampicata sugli alberi, infilata sotto il letto o dentro un grande armadio a muro. E ascolta, rapita, il padre che legge i libri del nonno, Luigi Ugolini. 
Cerca storie e versi tra le poltrone e i palchi del teatro Massimo Bellini di Catania, mentre ascolta i genitori suonare nell'orchestra.
Il suo primo racconto nasce in una macchina da scrivere arancione, dopo una gita al museo, quando quegli animali che ha visto impagliati prendono vita. 
A scuola fa un sacco di errori, perché la penna corre libera e lei fatica a frenarla, ma, con gli anni, crescendo, ha imparato a mettere le briglie e a lasciare il tempo alle proprie storie di dipanarsi con la giusta calma.


Credo per formazione nel valore autentico della Letteratura, nella lezione dei Classici.
Credo nell’invenzione di una forma, di uno stile che rende riconoscibile un autore fin dalle prime pagine del proprio romanzo. Nel senso vibrante dell'incanto che avvia un racconto.
Credo nella necessità, febbre, temperatura emotiva densa in ogni storia da costruire.
Credo nel cuore vivo dell'impossibile che si fa credibile oltre il vero, credo nel peso inquieto, illimitato e di piuma della parola, in quella nudità che un buon narratore, da sarto, sa come vestire in eleganza.
Credo nella poesia come nutrimento e carato per la lingua.
Credo nel ritmo della pagina, nell’intimità della voce che si fa musica, calore, ardore, desiderio.
Credo nel balzo dell’Ippogrifo, nella sana follia d’Erasmo.
Credo nella geometria della pagina, in oneste lenti inforcate per allontanare se stessi e vedere l’altro.
Credo soprattutto a colui che ultimo tra gli uomini osserva, sente nell’ombra e arde d’amor segreto."
 

Di film, libri e musica...

 

Still life, di U. Pasolini

Il favoloso mondo di Amelie, di Jean-Pierre Jeunet


 

L'autunno del patriarca

di G. G. Marquez
 
 

Quaranta case, quaranta cose. La musica di Anna Al Contrario ispirata dal romanzo "Come grani di melagrana"

Concerto per due violini di Bach in re minore. 
Al minuto 4.11. Largo ma non tanto. La "voce" del romanzo di Lina Maria.

Come grani di melagrana

L’Abruzzo dei pastori tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale.
Solo quaranta case arroccate sulla roccia degli Appennini come quaranta grani di melagrana. Appartenute agli umili della terra, colpiti della follia del male perpetuato dai soldati tedeschi in ritirata lungo la linea Gustav allo sbarco degli Alleati.
Tutto passa nella memoria del vecchio Caramuele, colui che è rimasto per ultimo senza morire. Il suo era un cuore che aveva sopportato tanto, avrebbe dovuto fermarsi quando accadde ciò che accadde. E invece batteva ancora, tra quaranta grani di case deserte, tra quaranta croste di cose immote.
Lui resta, in attesa tra le pietre di un paese fantasma, a correggere, immaginando, parte di ciò che non è avvenuto nella propria vita.
Un romanzo che apre squarci nel tempo interiore del protagonista, e forse nel nostro, e che insieme vi fa scorrere la grande Storia, ombreggiata tra mito e fiaba. E lì appaiono uomini e donne che esistono in relazione agli oggetti usati nel proprio quotidiano, simbolo essenziale del loro essere al mondo, oggetti che perdurano sotto la polvere degli anni per essere ritrovati nella memoria, accanto alle ragioni arcane dei sentimenti. L’amore primo fra questi, con il proprio mistero ben più grande – come scrisse Oscar Wilde – della morte stessa