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Che per una docente d'italiano come Fabrizia incentivare la scrittura negli allievi come passione e non come obbligo!
Allora li riuniva in cerchio e buttava lì: "E ora inventiamo una storia! Fuori
le idee!"’ Loro, stupiti, la guardavano e si guardavano. C’era chi
ridacchiava, chi si grattava la testa, chi si nascondeva, chi pareva interessato. Poi una timida idea, e un’altra e un’altra
ancora, questa no, è fuori tema... L’imbarazzo si scioglieva e anche il più schivo si lasciava andare.
È
così che Fabrizia è venuta a contatto
con la scrittura, annotando le mille idee che scaturivano da menti giovani e
libere dalle catene dell’ovvietà, per poi riordinarle e organizzarle in
racconto. Con loro ha imparato a disincagliare la mente dalla zavorra del
formalismo letterario, e a liberare la fantasia che credeva essere una
caratteristica solo dei bambini.
Scrivere è per lei mettersi in contatto con l'umanità, avere qualcosa da dire e trasmetterlo.
Vorrebbe cantare, le manca tanto non avere la voce. E ritirarsi in un borgo medievale, tra i rumori del passato, della gente vera, del silenzio, della pace. Con la sola compagnia dei libri e del computer per scrivere. Sei mesi, non di più, perché è un animale sociale. Dice che non l’ha fatto per mancanza di coraggio.
Jane Eyre, di F. Zeffirelli
Magellano, di S. Zweig
Tengo sedici anni, quell’ultimo d’anno 1967. Sedicianni, una marea di anni fa, eppure un soffio di tempo. Una sensuale reminiscenza immersa in un’ebbrezza mai scordata. Che rinasce nella nostalgia, per restituirmi la giovinezza rubata dalle stagioni, e per lasciarmi godere lo sboccio di un fresco desiderio, e per rituffarmi nell’estasi di lontane emozioni.
Una festicciola privata. Una piccola stanza, il buio appena incendiato da un’abat-jour che proietta le ombre di due bottiglie di spumante accanto a un panettone. Una nebbia di tabacco galleggia a mezz’aria. Volti e corpi in controluce, voci ingenue, risate trasparenti. Atmosfera di complicità e voglia di trasgressione.
Poi una mano schiaccia un tasto e il disco gira. Le voci si spengono. L’atmosfera si colora di romantiche vibrazioni. I corpi s’allacciano e prendono a ondeggiare, lentamente, su un piede e sull’altro, a tempo, per non voler calpestare la passione delle note.
Fasciata dalle braccia di Franco, mi sento stordita. Impercettibili brividi mi ubriacano, come se rotolassi in un mare di soavità. Sento di star bene, di essere felice. Sento che il contatto dei nostri corpi caldi e voluttuosi mi eccita. Il fiore della mia vita è sbocciato. Soffoca l’innocenza, e si libera la donna. Una donna in germoglio, una donna che saprà amare, una donna consapevole di amare.
‘Ti sento, sei vicina, è l’ora dell’amore’, note che accarezzano e seducono e rapiscono. Note indimenticate e indimenticabili.
Il mio canto libero, Lucio Battisti
La canzone di Marinella, Fabrizio De André
Così Celeste, Zucchero
Figlia di socialisti, zia Pinetta è nata con i primi scoppi del
regime fascista ed è cresciuta nel tempestoso periodo del
primo dopoguerra, fra le tribolazioni del quotidiano vivere
contadino, nell’incubo continuo dell’avanzare inesorabile
di una dittatura che tappa le bocche di suo padre e della
sua famiglia.
Questa storia è il lungo racconto di una donna ormai
ultraottantenne che sente prossima la fine e affida alla
nipote le sue memorie, in un dialogo acceso e incalzante.
Il tempo andato risorge e si srotola in un carosello di
animate battute e diviene racconto, favola vera e storia.
La narrazione è supportata da una ricca ricerca storica
locale che spazia dagli avvenimenti di un piccolo borgo
di campagna, al comune e alla provincia circostanti.
È
così che, dall’avvicendamento della piccola Storia, quella
delle mediocri esistenze degli umili, emerge lampante e
violento il nocciolo della questione della grande Storia.