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Per amore suo ho rinunciato al mio paese, ai miei affetti
e a tutto ciò che avevo dall’altra parte del mare.
Lo amavo alla follia. Lui era felice. Così non ho mai
trovato il coraggio di dirgli che io lo ero
soltanto a metà.
Eliza Trajkoska
Mia madre era nata a Premka, un piccolo villaggio della Macedonia occidentale, nel marzo del 1924. (...) (p. 45)
Mio padre era rimasto a Rodi fino a quando l’Italia non aveva firmato l’armistizio con gli Anglo-Americani. Voltando le spalle all’alleato tedesco. Così le truppe italiane si erano trovate in balìa della furia germanica.
(...)
Mio padre, assieme ad altri 1000, fu destinato alle miniere di cromo in Macedonia. Su un treno speciale, la cui destinazione sembrava essere Zhastov, un sobborgo nei pressi di Skopje. (pgg. 139-141)
Mia madre, assieme a mia nonna e alle sorelle più piccole, poté far ritorno nella grande casa di Premka soltanto tre anni dopo. Quando, agli inizi del 1944, gli invasori avevano già iniziato a indietreggiare, lasciandosi alle spalle grandi spazi vuoti. (pgg. 177)
Tutto ha avuto origine dall’incontro con una persona, con la quale, nel volgere del tempo, siamo diventati amici. Una persona che mi ha raccontato la storia della sua famiglia, chiedendomi di non farla morire tramandandola. E poi l’incontro con un vecchio greco, a Rodi, che è stato fondamentale per chiudere il cerchio.
La Storia non deve morire. Ognuno di noi ne scrive una, nel proprio passaggio terreno. Sono le storie dei singoli a tessere la tela della storia con la S maiuscola.
Una vecchia canzone macedone, degli inizi del 900, poi rifatta e riadattata. Ha fatto da sottofondo alle serate di racconti e scrittura di Rino Operoso e Umberto Li Gioi.