Tensione al massimo in Irlanda del Nord. Torna la paura
Che la Brexit non portasse nulla di buono alle sei contee nordirlandesi lo si sapeva, che l’escalation fosse così repentina, meno.
Dal momento in cui vi è stata la consapevolezza dell’uscita delle sei contee nordirlandesi appartenenti al Regno Unito dall’Unione Europea, le discussioni sono state molteplici, riguardo l’impatto che questo avrebbe avuto sul precario equilibrio politico-sociale nordirlandese. Un equilibrio raggiunto, faticosamente, a seguito degli accordi di pace del 1998, i cui principi fondamentali entrano in pieno conflitto con la Brexit. In primis la questione del confine tra EIRE e Irlanda del nord, pesantemente militarizzato durante il conflitto e abolito dal Good Friday Agreement per far sentire i repubblicani irlandesi in un’Irlanda unita, se non politicamente, almeno territorialmente. Un confine necessario in virtù della mancata adesione di Dublino e Belfast agli accordi di Schenghen, scesi in deroga appositamente per andare incontro all’affannosa questione nordirlandese.
La decisione della maggioranza dei cittadini del Regno Unito di uscire dal mercato unico nel 2017 è entrata fortemente in contrasto con questo, fondamentale, punto dell’accordo di pace. Per più di due anni i tecnocrati di Londra e Bruxelles si sono chiesti come risolvere il nodo del confine nordirlandese, mentre a Belfast i repubblicani, rinvigoriti dal voto della maggioranza dei cittadini dell’Irlanda del Nord di mantenere il mercato unico, parlavano di referendum di riunificazione dell’isola, soluzione che risolverebbe il problema, riportando le sei contee all’EIRE e, quindi, nell’Unione Europea. Una soluzione transitata sicuramente nella mente di molti, nelle alte sfere a Londra e Bruxelles, ma inconfessabile alle orecchie degli unionisti, storicamente intransigenti riguardo qualsiasi interferenza nel loro status quo di cittadini britannici.
Theresa May prima e Boris Johnson poi hanno cercato di elaborare una soluzione che potesse accontentare entrambi le comunità nordirlandesi, impresa risultata impossibile, viste le istanze messe sul piatto della precaria bilancia geo-politica nordirlandese. La hard Brexit, con il ripristino del confine EIRE-Irlanda del Nord avrebbe scontentato i repubblicani, mantenere l’Irlanda del Nord doganalmente nell’ E.U. gli unionisti. In assenza di una terza alternativa plausibile, il governo Johnson ha valutato l’opzione meno impattante delle due, spostando il confine doganale nel mar d’Irlanda e lasciando di fatto le contee in un regime doganale appartenente al mercato unico europeo. L’opzione ha preso il nome di protocollo irlandese entrando in vigore il 1° gennaio 2021.
La reazione unionista è stata immediata: il protocollo irlandese, tradisce l'appartenenza culturale e lo status di cittadini del Regno Unito. Gli accordi Londra-Bruxelles sulla Brexit, che gli stessi unionisti hanno votato in massa nel 2017, con l’antieuropeismo tipico degli ambienti di destra dai quali, per natura, derivano, hanno ceduto il passo alle istanze repubblicane.
Dapprima i cartelli apparsi per le strade nordirlandesi e in prossimità dei porti di Larne e Belfast: “ULSTER IS BRITISH, NO UK INTERNATIONAL BORDER”, poi le minacce agli operatori doganali che hanno portato le agenzie a ritirare i propri dipendenti per questioni di sicurezza, ora le sommosse all’interno dei quartieri.
Sì, perché le working class delle città nordirladesi sono oggi un puzzle intricato la cui urbanistica è stata plasmata nei decenni dalla logica dell’appartenenza culturale e, va da sé, politica.
Nella notte del 7 aprile i lealisti della zona ovest di Belfast si sono dati appuntamento a ridosso dell’interface area di Cupar way, dove centinaia di metri di cemento armato alto 7 metri, sovrastati da reti di protezione, dividono i repubblicani irlandesi, culturalmente gaelici e a maggioranza cattolica, dagli unionisti, scoto-ulsteriani, monarchici a maggioranza protestante, due mondi opposti, per cultura e fine politico.
I lealisti hanno incendiato un bus con molotov, aggredito un fotografo del Belfast Telegraph dandogli dello “sporco feniano”, termine dispregiativo verso coloro affini alla causa irlandese, e infine assaltato e forzato l’interface gate di Lanark Way. Si tratta di uno dei cancelli divisorio, “naturale” continuazione dei muri, in prossimità delle strade che collegano i diversi quartieri. I cancelli vengono gestiti dalla municipale, aperti il mattino e chiusi la sera, prima che calino le tenebre su Belfast. Lanci di molotov e sassi oltre il cancello, finché i lealisti non sono riusciti ad aprirlo, mentre dall’altro lato si era addossato un gruppo di repubblicani a difesa del varco.
La tensione in Irlanda del nord è in continuo aumento dall’entrata in vigore del protocollo.
È innegabile che la Brexit abbia soffiato nuovamente sul fuoco delle velleità indipendentiste irlandesi e che rappresenti un’accelerazione storica, per un treno in corsa i cui binari portano all’unita dell’isola d’Irlanda, ma è altrettanto innegabile che gli unionisti si opporranno in qualsiasi modo all’ annessione delle sei contee all’EIRE.
Senza una tempestiva soluzione e senza dialogo, si rischia che la violenza si estenda a tutta l’Irlanda del nord.
La Storia, da quelle parti, ha cadenza periodica, le situazioni degenerano facilmente, il timore di un ritorno ad un oscuro passato è forte, la speranza è che prevalga il buon senso e che l’esperienza di 30 anni di terribile conflitto abbia il sopravvento sull’universo nordirlandese regolamentato dalla legge del dualismo. La domanda da porsi è se il corso preso dalla Storia a seguito della Brexit, debba inevitabilmente transitare attraverso la violenza.
Dal momento in cui vi è stata la consapevolezza dell’uscita delle sei contee nordirlandesi appartenenti al Regno Unito dall’Unione Europea, le discussioni sono state molteplici, riguardo l’impatto che questo avrebbe avuto sul precario equilibrio politico-sociale nordirlandese. Un equilibrio raggiunto, faticosamente, a seguito degli accordi di pace del 1998, i cui principi fondamentali entrano in pieno conflitto con la Brexit. In primis la questione del confine tra EIRE e Irlanda del nord, pesantemente militarizzato durante il conflitto e abolito dal Good Friday Agreement per far sentire i repubblicani irlandesi in un’Irlanda unita, se non politicamente, almeno territorialmente. Un confine necessario in virtù della mancata adesione di Dublino e Belfast agli accordi di Schenghen, scesi in deroga appositamente per andare incontro all’affannosa questione nordirlandese.
La decisione della maggioranza dei cittadini del Regno Unito di uscire dal mercato unico nel 2017 è entrata fortemente in contrasto con questo, fondamentale, punto dell’accordo di pace. Per più di due anni i tecnocrati di Londra e Bruxelles si sono chiesti come risolvere il nodo del confine nordirlandese, mentre a Belfast i repubblicani, rinvigoriti dal voto della maggioranza dei cittadini dell’Irlanda del Nord di mantenere il mercato unico, parlavano di referendum di riunificazione dell’isola, soluzione che risolverebbe il problema, riportando le sei contee all’EIRE e, quindi, nell’Unione Europea. Una soluzione transitata sicuramente nella mente di molti, nelle alte sfere a Londra e Bruxelles, ma inconfessabile alle orecchie degli unionisti, storicamente intransigenti riguardo qualsiasi interferenza nel loro status quo di cittadini britannici.
Theresa May prima e Boris Johnson poi hanno cercato di elaborare una soluzione che potesse accontentare entrambi le comunità nordirlandesi, impresa risultata impossibile, viste le istanze messe sul piatto della precaria bilancia geo-politica nordirlandese. La hard Brexit, con il ripristino del confine EIRE-Irlanda del Nord avrebbe scontentato i repubblicani, mantenere l’Irlanda del Nord doganalmente nell’ E.U. gli unionisti. In assenza di una terza alternativa plausibile, il governo Johnson ha valutato l’opzione meno impattante delle due, spostando il confine doganale nel mar d’Irlanda e lasciando di fatto le contee in un regime doganale appartenente al mercato unico europeo. L’opzione ha preso il nome di protocollo irlandese entrando in vigore il 1° gennaio 2021.
La reazione unionista è stata immediata: il protocollo irlandese, tradisce l'appartenenza culturale e lo status di cittadini del Regno Unito. Gli accordi Londra-Bruxelles sulla Brexit, che gli stessi unionisti hanno votato in massa nel 2017, con l’antieuropeismo tipico degli ambienti di destra dai quali, per natura, derivano, hanno ceduto il passo alle istanze repubblicane.
Dapprima i cartelli apparsi per le strade nordirlandesi e in prossimità dei porti di Larne e Belfast: “ULSTER IS BRITISH, NO UK INTERNATIONAL BORDER”, poi le minacce agli operatori doganali che hanno portato le agenzie a ritirare i propri dipendenti per questioni di sicurezza, ora le sommosse all’interno dei quartieri.
Sì, perché le working class delle città nordirladesi sono oggi un puzzle intricato la cui urbanistica è stata plasmata nei decenni dalla logica dell’appartenenza culturale e, va da sé, politica.
Nella notte del 7 aprile i lealisti della zona ovest di Belfast si sono dati appuntamento a ridosso dell’interface area di Cupar way, dove centinaia di metri di cemento armato alto 7 metri, sovrastati da reti di protezione, dividono i repubblicani irlandesi, culturalmente gaelici e a maggioranza cattolica, dagli unionisti, scoto-ulsteriani, monarchici a maggioranza protestante, due mondi opposti, per cultura e fine politico.
I lealisti hanno incendiato un bus con molotov, aggredito un fotografo del Belfast Telegraph dandogli dello “sporco feniano”, termine dispregiativo verso coloro affini alla causa irlandese, e infine assaltato e forzato l’interface gate di Lanark Way. Si tratta di uno dei cancelli divisorio, “naturale” continuazione dei muri, in prossimità delle strade che collegano i diversi quartieri. I cancelli vengono gestiti dalla municipale, aperti il mattino e chiusi la sera, prima che calino le tenebre su Belfast. Lanci di molotov e sassi oltre il cancello, finché i lealisti non sono riusciti ad aprirlo, mentre dall’altro lato si era addossato un gruppo di repubblicani a difesa del varco.
La tensione in Irlanda del nord è in continuo aumento dall’entrata in vigore del protocollo.
È innegabile che la Brexit abbia soffiato nuovamente sul fuoco delle velleità indipendentiste irlandesi e che rappresenti un’accelerazione storica, per un treno in corsa i cui binari portano all’unita dell’isola d’Irlanda, ma è altrettanto innegabile che gli unionisti si opporranno in qualsiasi modo all’ annessione delle sei contee all’EIRE.
Senza una tempestiva soluzione e senza dialogo, si rischia che la violenza si estenda a tutta l’Irlanda del nord.
La Storia, da quelle parti, ha cadenza periodica, le situazioni degenerano facilmente, il timore di un ritorno ad un oscuro passato è forte, la speranza è che prevalga il buon senso e che l’esperienza di 30 anni di terribile conflitto abbia il sopravvento sull’universo nordirlandese regolamentato dalla legge del dualismo. La domanda da porsi è se il corso preso dalla Storia a seguito della Brexit, debba inevitabilmente transitare attraverso la violenza.
(Gianluca Cettineo)
Per saperne di più sull'Irlanda del Nord, ti suggeriamo il reportage fotografico I muri di Erin che, a partire dai murales di Belfast e Derry, ne ripercorre la travagliata Storia.