Rifrazioni dell’Altro: problemi di percezione nell’antico e nel contemporaneo - PUNTATA 3

I testi proposti in questo spazio ci accompagnano tra la letteratura antica e le riflessioni poetiche contemporanee che emergono dal dialogo tra due componenti del mondo in cui viviamo: l’una visibile, che è la dimensione presente, l’altra scomparsa all’occhio empirico, ancorata nel passato ma ugualmente fattore costitutivo di quella evoluzione che ha prodotto la realtà in cui attuiamo oggi le nostre azioni e i nostri pensieri. Quanto segue è la prosecuzione di un incontro di lettura realizzato a settembre 2021 dall’Associazione Rodopis legata a Edizioni Saecula da anni di collaborazione. 


Un barbaro-cristiano: Taziano il Siro

Barbaro è la parola con la quale gli antichi greci indicavano gli stranieri, cioè coloro che non parlavano greco e quindi non condividevano la cultura greca. Dal punto di vista linguistico il carattere della "grecità" si diffonde soprattutto con il divulgarsi dell'Ellenismo, periodo nel quale ogni uomo che parla, legge e scrive in greco diventa membro della cultura greca e del mondo ellenizzato. Quando a Roma si afferma la Repubblica, il termine si carica di un significato più propriamente legato alla dimensione etnica, strettamente correlato con l'aspetto etnico della romanità e con la formulazione di una ideologia secondo la quale il popolo romano ha ricevuto la missione storica di portare a temine la civilizzazione delle popolazioni a lui sottomesse. L’idea di una superiorità delle culture greco-romane è il risultato di una visione etnocentrica in forza della quale, pur con le necessarie distinzioni, Roma ed Atene attribuiscono alla loro storia una dimensione di modello globalizzante a discapito delle altre, ritenute anormali, cioè barbariche.

Con l’avvento del Cristianesimo il termine barbaro torna ad indicare, come si ricava dalla lettura di alcune Lettere di san Paolo, le popolazioni non-greche o quelle che comunicano con un patrimonio linguistico diverso. L’apostolo riconosce ai Greci il grande patrimonio culturale, in particolare la ricchezza della loro sapienza filosofica, mentre riserva ai barbari il carattere dell’ ignoranza e della stoltezza. Quando il potere dell’Impero Romano d’Occidente entra in crisi, una crisi morale prima ancora che economica e demografica, si assiste all’arrivo in Italia di ondate di popolazioni, ancora oggi chiamate e descritte come barbare, che, provenienti dall’Europa settentrionale, portano a Roma distruzione e morte. Con la diffusione della religione cristiana il termine barbaro passa ad indicare il non-romano, che coincide con il non-cristiano.

Una critica all’etnocentrismo culturale della storia greca e romana è presente nella riflessione di Taziano il Siro, nato nel territorio degli Assiri (com'egli dice, ma l'indicazione potrebbe riferirsi alla Siria), tra il 120 e il 130 d.C. Secondo Quintino Cataudella “egli è tra gli apologeti del suo secolo una mente delle più originali e profonde. Ebbe larga conoscenza della letteratura e filosofia greca, della quale, specialmente della stoica, subì qualche volta l'influsso; condusse la vita dei retori e sofisti di quel tempo, girando di città in città a fare il conferenziere. Venuto a contatto con gli ambienti cristiani, prese subito conoscenza delle Sacre Scritture e si convertì al cristianesimo…Giunto a Roma, si incontrò con Giustino e ne divenne discepolo, subendone in molti punti l'influsso. Restò a Roma fino alla morte del maestro… In Oriente, dove lo troviamo nel 172 d.C., fondò una Scuola, e specialmente ad Antiochia di Siria, in Cilicia e in Pisidia, esercitò la sua attività di insegnante. Dalle notizie sulla vita risulta anche la fondazione di una Scuola di cultura superiore a Odessa, in Ucraina. Deriva da lui la setta degli Encratiti, i quali tra l'altro si proclamano vegetariani, condannano il matrimonio come cosa illecita, e si astengono dall'uso delle carni e del vino. Nulla sappiamo del luogo e della data della sua morte. Temperamento aspro e violento… disprezza ogni tentativo di avvicinamento e di conciliazione col pensiero e la cultura dei Greci; anzi, la dimostrazione delle verità cristiane per lui non incomincia se non dopo che ha umiliato l'orgoglio dei Greci, additando le contraddizioni dei loro filosofi, l'immoralità dei loro miti e della loro arte, la vana bellezza della loro lingua, il vanto ingiustificato d'essere gli inventori di ogni cosa”.

Un attento esame degli scritti dell’apologeta rivela che lui conosceva bene le Scritture, accettava il valore del dettato morale e nutriva grande rispetto per esse. Dell’influenza che ebbero sulla sua vita così scrive: “Non bramo essere ricco, rifiuto le cariche militari, odio la lussuria, non mi dedico alla navigazione per avidità, . . . mi tengo lontano dalla brama della gloria, . . . il sole è lo stesso per tutti e per tutti una sola è la morte nel piacere e nella sfortuna”. L’originalità del pensiero tazianeo nella declinazione del significato di barbaro si fonda tutta sulla scoperta della novità del Cristianesimo e dell’Ebraismo. Egli inverte l’ordine di importanza del binomio civiltà-barbarie, civile-barbaro, dimostrando così la superiorità della cultura dei barbari, che per lui sono i cristiani, rispetto a quella dei filosofi greci, considerata vana.

Taziano ha impostato la sua strategia apologetica su due presupposti concettuali: una nozione unitaria e compiuta di barbaro; un’idea su come i cristiani possano rientrarvi. E allora: che cosa fa di un cristiano un barbaro? E un barbaro del cristiano Taziano? "Ora però mi sembra il momento di dimostrare che la nostra filosofia è più antica degli usi tradizionali greci. Assumeremo pertanto come limiti cronologici Mosè e Omero; e li scegliamo come termini di paragone proprio perché l’uno e l’altro sono, rispettivamente, il più antico tra i poeti e gli storici e l’iniziatore di tutta la sapienza barbarica”.

Per l’esperto in Storia del cristianesimo Emiliano Rubens Urciuoli* “il termine “barbaro” non è un semplice indicatore stilistico, bensì un riconosciuto marcatore etnico, dal cui utilizzo discende che la grossolanità dello stile e l’ingenuità dottrinale di questi testi è diretta conseguenza del loro essere non-greci. A detta di un greco, i greci ragionano meglio dei barbari, i quali, farfuglianti e incomprensibili per definizione, non sono in grado di esprimersi compiutamente: l’imperizia nello scrivere viene di conseguenza. Ecco che allora, posto che da un punto di vista esterno l’inadeguatezza formale e contenutistica degli scritti tradisce l’origine barbarica della sapienza che li ha ispirati, un difensore di quel patrimonio testuale, che sia propenso a includere quel sapere nel sistema di significati inerenti alla contrapposizione categoriale greco/barbaro, dispone di due alternative polemiche: o dimostrare il radicamento greco dell’annuncio cristiano, facendo proprie alcune concezioni filosofiche elleniche e/o presentando il messaggio evangelico come adempimento di una verità già adombrata dalle menti migliori della grecità, oppure difendere a spada tratta tutta la categoria barbarica, operando un rovesciamento assiologico dell’antinomia fondato sulla rivendicazione di superiorità dell’elemento non-greco.

L’opera più importante di Taziano, nella quale propone la sua rivoluzione, è la già citata Oratio ad Graecos (Discorso ai Greci), scritta dopo il 165 dell’era volgare; un testo apologetico tra i più rilevanti del suo tempo, nel quale critica, con particolare severità e virulenta polemica, l'apprendimento ellenistico (greco), e la cultura pagana greca, caratterizzata da diffusa immoralità. L’incipit del suo discorso è una lucida e insistente esortazione rivolta ai Greci a non avere un atteggiamento ostile ed altezzoso verso le convinzioni di altri popoli, come, in questo caso, verso il cristianesimo ‘non-greco’ di origine ebraica. Con il suo approccio severo e ostile alla filosofia pagana ha evidenziato l’inutilità del paganesimo, la ragionevolezza del cristianesimo e il disprezzo per il modo di vivere greco. A dimostrazione della sua convinzione enumera, a mo’ di esempio, una serie di intelligenti invenzioni o usanze apprese dai barbari prima della diffusione del Cristianesimo in Europa: mentre i Romani cavalcavano a pelo o su di una coperta, i barbari utilizzavano già una sella e delle staffe; mentre i Romani conservavano il vino nella terracotta e lo allungavano con acqua calda e salata, i barbari lo conservavano in botti di legno; furono i barbari ad introdurre la birra, prodotta con il luppolo; furono i barbari ad introdurre le brache, ossia i pantaloni, al posto delle tuniche. Queste conquiste consentono a Taziano di porre in rilievo la superiorità della “cultura pratica” dei barbari ancor prima di “quella vana” dei filosofi greci. Così esorta i Greci: "liberatevi perciò della vostra alterigia e non ostentate l’eleganza del vostro frasario, voi che vi fate lodare da voi stessi ed in questo modo avete i vostri connazionali come patrocinatori La persona assennata, invece, deve aspettare il giudizio degli altri“.

Ma chi sono questi Greci, oggetto di una critica accesa da parte di Taziano? Risponde ancora Emiliano Rubens Urciuoli: “Non bisogna confondere i due piani della critica etnologica e della positività del discorso etnologico su cui tale critica si fonda. È innegabile che qui Taziano si proponga di «disintegrare precisamente quella comunità alla quale si rivolge», cioè di colpire al cuore l’etnicità greca con un’operazione di metodica corrosione dei suoi principali marcatori identitari, a partire da quello linguistico… Il suo obiettivo non è quello di negare l’esistenza di una lingua condivisa tra i greci, contrastando l’idea di una matrice comune ai dialetti ellenici al fine di criticizzare il dato di realtà di un popolo che si riconosce a partire dalla comunanza linguistica: piuttosto ferire a morte l’orgoglio di una comunità di parlanti, i cui contrasti dialettali, frutto di un processo di corruzione linguistica, hanno compromesso l’uniformità del modo di parlare. In sostanza il nostro autore sa benissimo chi p[uò] chiamare Greco, quali sono i suoi bersagli polemici, destinatari ideali e reali dello scritto regolarmente interpellati nei termini propri di una prerogativa etnica le cui pretese si ha interesse a “screpolare”: al di là delle incongruenze che sempre si incontrano al momento della verifica empirica di un concetto, e che non a caso incrociano gli interessi polemici dell’apologeta, l’umanità greca è pur sempre un’entità reale identificata in primo luogo dalla sua lingua; il barbaro resta ancora e innanzitutto tale perché non parla greco e perché estraneo alla civiltà – una “civiltà incivile”, come intende mostrare Taziano – di cui il greco è espressione.

«Ma d’altra parte voi siete gli unici a non andare d’accordo neppure quando parlate, sicché la parlata dei Dori non è la stessa di quella degli Attici, e gli Eoli non pronunziano allo stesso modo degli Ioni. Ora mi domando se su cose come queste, che non dovrebbero ammettere alcun dissenso, ce n’è invece tanto, chi io potrò mai chiamare Greco (τίνα με δεῖ καλεῖν Ἕλληνα)? Davvero, tra tutte la cosa più buffa è proprio questa: che voi avete un gran rispetto per le lingue che non hanno niente a che fare con la vostra, tanto che a furia di utilizzarne a ogni piè sospinto i termini barbarici (βαρβαρικαῖς τε ϕωναῖς) avete fatto un guazzabuglio della vostra lingua Per quanto le difformità dialettali possano contraddire il dato dell’omogeneità linguistica, e il ricorso intensivo a un vocabolario straniero inquinare la purezza dell’eloquio, Taziano ci sta in realtà dicendo che a notificare il greco sono – ancora e innanzitutto – uso e padronanza di una lingua che al barbaro è preclusa”.

Il Prof. Heinz-Guenther Nesselrath*, nella sua Relazione sulla Oratio ad Graecos, preliminarmente si interessa all’idea stessa di barbaro. Chiedendosi quali possano essere state le condizioni che hanno determinato la trasformazione nominale di Taziano da cristiano a barbaro, riporta la conclusione della Oratio: “Questo, o Greci, è quanto ho messo assieme per voi io, Taziano, filosofo tra i barbari (ὁ κατὰ βαρβάρους ϕιλοσοϕῶν), nato nel paese degli Assiri, educato prima nelle vostre dottrine e in seguito in quelle che ora professo di annunciare. Io insomma conosco chi è Dio e che cos’è la sua creazione e sono, pertanto, a vostra disposizione per l’esame delle dottrine, fermo restando che non rinnegherò mai più il mio modo di vivere secondo Dio”.

Quando si definisce “barbaro tra i barbari” accenna ad una “origine barbarica” oppure si sente filosofo “alla maniera dei barbari”? Nel primo caso, Taziano, di origine (as)sira, nato e cresciuto in terra barbara, che parla e scrive bene in greco, ha avuto una educazione ellenica e ha accumulato una sapienza a lui riconosciuta. Difficile attribuirgli il carattere di barbaro. Nel secondo caso un filosofo che pensa “alla maniera dei barbari” non potrebbe essere riconosciuto come tale da nessun saggio greco. "Per questo io ho detto addio sia alla boria dei Romani che agli arzigogoli degli Ateniesi – dottrine senza sostegno – e mi sono schierato per quella che secondo voi è una filosofia barbara”. Questa filosofia è la dottrina cristiana (la filosofia barbara), da lui abbracciata con la conversione. Ora se una dottrina è barbara perché è semplice nei contenuti e facile nella comprensione, allora essa merita questa definizione. "E mentre andavo riflettendo su quel che merita sia ricercato [la verità], mi capitò di leggere certe scritture barbariche più antiche rispetto alle dottrine dei greci, più divine al confronto dei loro errori. E mi capitò di rimanere conquistato dalla semplicità del loro stile, dalla naturalezza del dettato, dalla chiarezza con cui veniva spiegata la creazione dell’universo, dalle previsioni circa il futuro, dal valore eccezionale dei precetti, dalla dottrina della sottomissione di tutto a un unico sovrano".

Un filosofo greco attribuirà al testo un’attualità limitata, che durerà fino all’esaurimento della migliore polemica anticristiana di parte “pagana”. La grossolanità dello stile e l’ingenuità dottrinale sono la diretta conseguenza del suo essere non-greco e tradisce l’origine barbarica della sapienza che lo ha ispirato. Questo significa che chi sceglie quel patrimonio testuale è disposto a difendere a spada tratta tutta la categoria barbarica, operando un rovesciamento assiologico dell’antinomia fondato sulla rivendicazione di superiorità dell’elemento non-greco… è una autentica dichiarazione di guerra alla cultura greca, condotta tramite una confutazione integrale della sua supposta supremazia storica, intellettuale e morale. "Non assumete atteggiamenti di totale ostilità verso i barbari, signori Greci, e non mostrate neppure tanto sdegno a proposito delle loro dottrine. C’è in effetti una qualche usanza tra voi che non abbia avuto origine presso i barbari?".

La conclusione alla quale giunge Heinz-Guenther Nesselrath è che “l’eccezionalità della proposta di Taziano…si coglie in relazione agli sviluppi della polemica anti-greca: come la “barbarizzazione” del giudaismo non aveva implicato prima di lui un’analoga caratterizzazione dell’identità cristiana, così l’atteggiamento generale di condanna e di ripulsa nei confronti della cultura greca – e la più mirata reazione alla sua pretesa superiorità – dopo di lui non muoveranno più da una auto-comprensione barbarica della dottrina cristiana… Il graduale avvicinamento di Cristianesimo e Impero – per cui “barbaro” viene a significare il comune nemico –, nonché la più incalzante ellenizzazione del nuovo messaggio di fede – per cui “barbaro” progressivamente individua una comune alterità –, costituiscano i due processi storico-culturali che hanno configurato la «βάρβαρος σοϕία» di Taziano quale unicum ideologico privo tanto di antecedenti riconoscibili quanto di un’accertabile fortuna storico-letteraria. Segnando già profondamente l’epoca in cui viene allestita, questi sviluppi fanno della macchina etnologica tazianea una tecnologia nata postuma”.

*Emiliano Rubens Urciuoli, Un'archeologia del «Noi» cristiano. Le «comunità immaginate» dei seguaci di Gesù tra utopie e territorializzazioni (I-II sec. e.v.) Ledizioni, Milano, 2013
Emiliano Rubens Urciuoli. Dottore di ricerca in Storia del cristianesimo presso l’Università di Torino e in Teologia presso l’Università di Ginevra, è attualmente perfezionando in “Scienze della cultura” presso la Scuola Internazionale Alti Studi della Fondazione Collegio San Carlo di Modena.

*Heinz-Guenther Nesselrath, Il testo di Taziano, Oratio ad Graecos, e due recenti edizioni. Eikasmos, XVI , Gottingen, 2005 ,pp,243-264
Si tratta del testo della relazione tenuta a Bologna (22 marzo 2005), nell'àmbito dell'iniziativa "Seminari Degani", dal Prof. Dr. Heinz-Guenther Nesselrath dell'Università di Gottinga. Sulla base di dodici passi scelti, l'autore dimostra l'inadeguatezza delle due più recenti edizioni critiche dell'Oratio ad Graecos di Taziano, quelle di M. Whittaker e M. Marcovich, ai fini della constitutio textus ed avanza nuove proposte critico-testuali. ed avanza nuove proposte criticotestuali


Antonio Morinelli