La pandemia spagnola nel romanzo "Sopravvissi non so come alla notte"

"Ma non s’era purtroppo chiusa lì la conta dei morti, sai? Nei medesimi giorni anche la sorella di mia madre, la Giuseppa, ave­va tolto il disturbo sempre per via della stramaledetta freva, e lasciato orfani quattro figli ancora cichìn.

Quando mia madre lasciò il letto, diceva che non riusciva a saltar su per il dispiacere. Erano morti la sua primogenita Lina con la cugina Ada, la sorella Giusépa e tanti conoscenti del borgo e anche un’amica o due di novena. “L’è morto il tale, il talaltro!” Ce n’era una sfilza che faceva venire il crepacôr."

Una pandemia impropriamente chiamata "La Spagnola", a causa del fatto che la Spagna non applicò alcuna censura riguardo l'epidemia di influenza, a differenza degli altri Paesi europei, che decisero di non voler turbare l’opinione pubblica, già piegata dagli eventi della Prima Guerra Mondiale. Fu così che il resto del mondo fece questa erronea associazione, tra nazione e malattia, che ancor oggi è utilizzata per nominarla.

La pandemia infuriò nel mondo tra il 1918 e il 1920 facendo più vittime della guerra (e  anche della peste del 1300): tra i 50 e 100 milioni, in un mondo che contava allora 1 miliardo e 800 milioni di abitanti. 

Nel romanzo Sopravvissi non so come alla notte, Fabrizia Amaini fa narrare questo, come altri fatti storici, dalla viva voce del popolo: la piccola Storia che la popolazione italiana (emiliana nello specifico, in questo caso) visse sulla propria pelle negli anni tra le due guerre.

(La Redazione)